Saturday 29 November 2008

Las Vegas Grind: lasciva strip music dal cuore dei fifties

Navigando sullo splendido sito di Crypt Records, in cerca di sonorità perdute nelle dense nebbie del passato, mi sono imbattuto in una serie di copilation, in prevalenza strumentali, dall'enigmatico titolo Las Vegas Grind.
La curiosità mi ha spinto a scaricare i volumi 1, 2, 3, 5 e 6, e tra le mani mi sono ritrovato una (enorme) serie di brani elettrizzanti, spesso di qualità mediocre, fatto che, sorprendentemente, ne accresceva il fascino oscuro e vagamente malsano.
Musicalmente ci troviamo di fronte ad accenni rock n' roll, finezze blues e ritmiche di matrice soul, miscelate sapientemente ad ombre funk; canzoni brevi, spesso incorniciate da trombe e sax, il cui potere ipnotico ha davvero dell'eccezionale, scuotendo i bassi istinti, nonchè i fianchi, di chiunque. Musica pensata per locali strip degli anni cinquanta, con ballerine e go-go dancers ad esibirsi di fronte ad un pubblico libindinoso; musica che oggi, a distanza di mezzo e più secolo, risuona vivace e fresca, capace di riempire in un brevissimo lasso di tempo qualsiasi pista da ballo!

Wednesday 26 November 2008

Dischi fondamentali di questo 2008: i primi 7

L'anno solare 2008, personalmente un momento di vera e propria rinascita dopo i giorni oscuri, colmi di solitudine e tristezza, dei due anni precedenti, è stato accompagnato, com'è ormai radicata abitudine, da una sua personale colonna sonora.
Una classifica provvisoria, dato che al 31 dicembre mancano ancora un paio di settimane ed ho diversi album in attesa d'essere comandati, ma di queste sette titoli credo che solo alcuni siano a rischio d'essere esclusi a favore di nuove entrate più entusiasmanti.
Ad aprire l'anno, già nel mese di gennaio, ci hanno pensato gli incredibili Black Mountain, la cui prima fatica m'era piaciuta, certo, ma è con In the Future che hanno compiuto un definitivo passo in avanti. Disco pressochè perfetto, a metà strada tra la psichedelia di fine anni '60 ed il rock vigoroso del decennio seguente, con i poderosi riff à la Black Sabbath in testa.
Anche la seconda prova del progetto (termine invero offensivo, data l'altissima qualità musicale del quartetto e delle composizioni offerte) di Jack White, The Raconteurs, mostra incoraggianti segnali di crescita rispetto al già eccellente debutto. Consolers of the Lonely spinge il piede sull'accelleratore, virando in maniera decisa ma non scontata verso un rock figlio tanto del garage debitore dei sixties quanto del blues stratificato del dirigibile di piombo.
Le atmosfere si diluiscono in un unisono di voci e strumenti acustici con i sorprendenti Fleet Foxes; capitanati da un ragazzo poco più che ventenne, i quattro di Seattle (ma il grunge non ha davvero nulla a che vedere con loro) hanno registrato un disco che sembra crescere ascolto dopo ascolto, con i suoi echi West Coast (Crosby, Stills, Nash & Young in primissimo piano) abilmente miscelati ad atmosfere di stampo medievale e finanche celtico. Per restare nel rassicurante angolo del mondo indie, non posso non citare con entusiasmo i Bodies of Water, il cui album A Certain Feeling ha tutte le carte per essere considerato un capolavoro. Composti da due coppie, gli americani propongono un mix di rara originalità, oscillante tra i già citati Black Mountain, i fondamentali Arcade Fire ed i Modest Mouse; forse l'album dell'anno per il sottoscritto, tante sono le emozioni che riesce a risvegliare. Una conferma, invece, gli Okkervil River, che con The Stand Ins, seguito ideale di The Stage Names, edito poco più di un anno fa, portano avanti il loro discorso di un indie-folk-rock personalissimo, con la splendida voce di Will Sheff in primo piano. Dopo averli (ri)vissuti dal vivo il 19 novembre in quel di Milano non posso che confermarli come uno dei più solidi edi interessanti gruppi underground attualmente in circolazione, forti di un leader il cui talento compositivo sembra esser inesauribile.
Virando verso lidi dal sapore più antico, come non essersi accorti, quest'anno, della giovane promessa del nuovo soul-blues a stelle e strisce? Eli Paperboy Reed, con Roll with It, ha confezionato un'opera che potrebbe esser uscita nel pieno degli anni sessanta. Ci si ritrovano tanto Rufus Thomas quanto Sam & Dave, passando per l'inarrivabile Otis Redding e giungendo fino alla selvaggia irruenza di James Brown; e l'aspetto più incredibile di questo disco senza tempo è che Reed, pur possendendo una voce nera, anzi, nerissima, è bianco! Sperando che la sua stella non tramonti nel giro di qualche anno, ci troviamo di fronte ad un vero e proprio fenomeno. Attendo con ansia la sua conferma su palco.
Concludendo questa parziale top ten cito, con immenso piacere (vedi anche post precedente) il mitico, e per giunta simpaticissimo, Langhorne Slim; sebbene il suo secondo lavoro non possegga più l'irriverente impatto del primo, è innegabile che lo spessore della sua scrittura, oltre alla sua inconfondibile voce, resta altissimo, rendendolo, di fatto, uno dei più grandi cantastorie d'oltreoceano.
In attesa che altri tre dischi vadano a completare questa classifica, consiglio a chiunque capiti su questo blog di dare un ascolto a questi sette album, ne vale la pena, davvero!

Tuesday 25 November 2008

Langhorne Slim & The War Eagles: la conquista di Lugano!




Langhorne Slim & The War Eagles

Live at the Livingroom Club, Lugano, 22.11.2008

Supporting Act: The Pussywarmers

Ecco una di quelle (rare) serate da incorniciare, uno di quegli sprazzi di vita da custodire gelosamente nella personale cassetta dei ricordi.
Per chi aveva avuto l’occasione di vedere il buon Langhorne Slim ed i suoi War Eagles un anno fa al Paso Club di Gorduno, sperduto paesello incastrato tra il capoluogo del Canton Ticino, Bellinzona, e le impervie vette del Lucomagno, l’opportunità di gustarselo nuovamente in quel di Lugano non poteva che apparire imperdibile.
E così è stato. Forte di un buon secondo album, in cui, però, in tutta onestà, sembra un pochino venire meno la carica devastante e l’irruente freschezza del primo disco, il cantastorie americano ha solcato nuovamente l’Oceano per ripresentarsi di fronte ad un numerossisimo ed entusiasta pubblico. Dopo l’ottima apertura (acustica) di concerto affidata ai locali Pussywarmers, titolari di un sound originale e coinvolgente, perfetto crocevia tra un folk n’ roll da strada ed un rockabillypunk debitore dei fifties più oscuri e selvaggi, il trio di Langhorne Slim ha preso possesso del palco del Livingroom Club.
Dopo poche parole, qualche ringraziamento, i tre hanno sapientemente preso in mano il pubblico, trascinandolo in un vortice di folk n’ punk che ha lasciato davvero pochi superstiti sulla pista da ballo; Langhorne tiene il palco con consumata bravura, ed ha dell’incredibile pensare che la band riesca ad infuocare in tal modo un locale senza nemmeno l’ausilio di strumenti elettrici. Chitarra acustica, contrabbasso ed una batteria a dir poco deflagrante sono i soli ingredienti necessari al trio per bombardare la folla con le proprie canzoni. Che sono, spesso, di eccellente caratura; In the Midnight è un piccolo, brevissimo capolavoro, in grado di far letteralmente tremare le pareti del locale. The Elecrtic Loveletter pare poesia pura, così come la dolcissima Colette, prima che esploda in uno sferragliante finale. Checking Out sarebbe un hit radiofonico ovunque, se le radio non fossero tanto intasate da porcherie d’alta classifica ma di bassa qualità. She’s Gone riassume, in poco più di due minuti, l’essenza di Langhorne Slim, con la sua chitarra lanciata a mille e la sezione ritimica che sembra un’intera mandria di cavalli lanciati su sterminate praterie. Ma la palma di miglior pezzo della serata va indubbiamente alla splendida e coinvolgente I Love to Dance, con due Pussywarmers ad accompagnare la band, in un tripudio di orgiastica esaltazione collettiva.
A chiudere la serata, quattro ore ininterrotte di selvaggio e primordiale rock n’ roll dalla postazione Dj, con tutto un locale a ballare fino alle ore piccole; ricordi, dicevo, stampati come fuoco sulla pelle dell’anima.

Wednesday 5 November 2008

Garage & Obscure Tunes from the web


Sono nuovamente connesso col mondo virtuale!
E per inaugurare questo rientro vorrei rendere omaggio ad uno dei miei generi preferiti: la garage music più oscura, putiscente e rozza dei selvaggi sixties.
Ogni qualvolta mi trovo a spiegare cosa sia la musica garage mi si presentano di fronte volti curiosi, finanche dubbiosi di quanto sto per raccontargli; non so bene a cosa possano pensare, ma l'espressione è non di rado velata di sarcasmo o, addirittura, disprezzo...
"Psichedelia? Chitarre fuzz? Organetti farfisa? Roba da cinquantenni..."
Con tutto il rispetto che va tributato ai cinquantenni, la garage music dei '60 è, perlomeno negli anfratti più remoti e devastati dei miei padiglioni auricolari, quanto di più fresco, vivace ed eccitante possa ancora sgorgare dal pentolone magico dei sessanta.
Compilation (estese a quattro cd grazie all'apporto, imprescindibile, dell'etichetta Rhino) quali Nuggets, Nuggets II e Children of Nuggets, nonchè le varie serie di Pebbles e Back from the Grave, senza contare un'impressionante miriade di compilation minori, edite a metà strada tra lo scadere dei fatidici sessanta e l'avvento dei logorroici settanta, seminano, forse indirettamente, i germogli della rigogliosa e devastante rivoluzione punk cui si assistette a partire dalla metà dei settanta (sempre più impregnati da involuzioni musicali quali la disco music e le seghe mentali del prog rock). Ritmi serrati, qualità tecnica e sonora oscillante tra il rozzo e il deleterio, pezzi della durata massima di tre minuti, ma, sopratutto, una primordiale e deflagrante energia a marcare a fuoco queste composizioni, spesso frutto di compagini dalla brevissima durata, ecco gli elementi portanti di un sound che, nel suo piccolo, poco al di fuori dei garage in cui veniva concepito, ha posto le basi per un'autentica rivoluzione di stile e di contenuto.
A breve vi parlerò più nel dettaglio di questa seminale e purtroppo remota pagina della storia del rock n' roll; per ora non posso che consigliarvi di visitare questo eccezionale blog dedito, in larga parte, a questo movimento purpureo sfumato di selvaggia psichedelia.
Godete: http://chocoreve.blogspot.com/