Wednesday 19 September 2007
Portishead: oscuro erotismo
Tempo fa lessi che la miglior canzone per una serata di sesso era Sexual Healing, del compianto Marvin Gaye; senza voler nulla togliere al grande della musica soul targata Motown, io, sul podio, ci metterei Glory Box, della band inglese dei Portishead.
Orignari di Bristol, patria degli altrettanto cupi Massive Attack, i Portishead propongono una musica decisamente oscura, minimale, in cui regna una tensione erotica pari a pochi; è sopratutto la voce eterea e nel contempo tinta di tenebra della cantante Beth Gibbons a rendere i loro brani tanto avvolgenti quanto sfumati di un lascivo tocco di sesso.
Il loro debutto Dummy, uscito nel 1994, è un capolavoro, che il tempo, a distanza di 13 anni, non ha minimamente scalfito; a partire dall'ipnotica Mysterons, con quel ritmo trascinato che diverrà un marchio di fabbrica del gruppo, passando per Sour Times, struggente nella sua nudità, It's a Fire, dove affiora una parvenza di inaspettata dolcezza, fino ad arrivare alla già citata Glory Box, un blues urbano che sembra essersi fatto largo dalle nebbie dei secoli, l'intero album mantiene una tensione ed una carica espressiva invidiabili, talmente intense da renderne, almeno inizialmente, difficile l'ascolto per intero.
Musica notturna, direi, quando ti vorresti adagiare accanto a un fuoco, al lume di candela, assaporando un buon rosso ben invecchiato, incontrando, nella penombra, labbra calde che sappiano trasportarti lontano, in compagnia di queste melodie che solo le tenebre sanno far brillare in tutta la loro oscura lucentezza.
Al debutto, tre anni dopo, seguì un secondo disco, omonimo; la formula era la stessa dell'esordio, canzoni screpolate da ritmi primordiali e incorniciate in un suono sporco, dove la ruvida ritmica si miscelava perfettamente alle malsane melodie vocali di Gibbons. Un altro piccolo capolavoro, assai più coeso del predecessore, ma non per questo privo degli spunti fugaci di alcuni brani: perle quali All Mine e Only You ribadivano, se mai ce ne fosse stato bisogno, la carica sessuale di questa inimitabile formula musicale, dove un certo jazz dal gusto antico si fonda alla perfezione con l'urgenza della modernità, delineando paesaggi urbani, all'ombra di ciminiere che toccano le profondità del cielo.
La terza fatica degli inglesi è ancora sospesa, ma, per ora, mi basta avvolgermi in questa musica che mi fa venir voglia di autunno, con l'orizzonte velato di nebbia ed il camino scoppiettante, mentre le tenebre calano lasciando spazio al sinuoso silenzio della notte...
Tuesday 18 September 2007
Love Will Tear Us Apart
Dopo un'estate passata a far di tutto tranne che aggiornare il mio blog, eccomi tornato!
Dato che, non appena potrò, mi tatuerò il titolo di una delle canzoni più belle, cupe e significative che conosca sul braccio, vorrei condividerne il testo con voi.
Love will tear us apart Joy Division
When routine bites hard
And ambitions are slow
And resentment rides high
But emotions won't grow
And we're changing our ways
Taking different roads
Then love, love will tear us apart again
Love, love will tear us apart again
Why is the bedroom so cold?
You've turned away on your side
Is my timing that flawed?
Our respect runs so dry
Yet there's still this appeal that
We've kept through our lives
But love, love will tear us apart again
Love, love will tear us apart again
You cry out in your sleep
All my failings exposed
And there's a taste in my mouth
As desperation takes hold
Just that something so good
Just can't function no more
But love, love will tear us apart again
Love, love will tear us apart again
Nel 2003 il NME l'ha eletto miglior singolo di tutti i tempi...quello che suscita in me è dolore, disperazione e verità...una perla d'altri tempi.
Monday 25 June 2007
Lemonheads: grazie di esistere (di nuovo)
Sunday 24 June 2007
Dal deserto allo spazio profondo
Friday 22 June 2007
The White Stripes are back...
Un duo perfetto, con un compositore, Jack White, in grado di scrivere brani che ti si appiccicano addosso come miele o che, in taluni casi, divengono veri e propri inni; basti pensare a Seven Nation Army, colonna sonora non ufficiale della nazionale italiana al mondiale di Germania dello scorso anno (personalmente lo trovo un mezzo peccato, dacchè la canzone, con uno dei riff più memorabili degli ultimi decenni, ai miei occhi, perlomeno, è totalmente sputtanata). Alla batteria siede Meg White, sua partner musicale (e non solo, per un certo lasso di tempo) fin dagli albori; certo, non è John Bonham nè Keith Moon, ma il suo dovere lo fa sempre, con precisione e potenza, nonchè con un groove che molti superbatteristi da conservatorio si sognano.
Dicevo, uno dei gruppi rock più veri, poichè portano avanti il loro discorso musicale da quasi un decennio, senza farsi contaminare da fattori esterni, mode passeggere o manie di grandezza; con i Raconteurs, poi, il signor White ha pure fondato una sua seconda creatura musicale degna di nota, accompagnato nell'impresa (riuscitissima, direi) da Brendan Benson e dalla sezione ritmica degli ottimi Greenhornes.
Ma torniamo ai White Stripes e alla loro ultima fatica, questo Icky Thump, da pochi giorni in circolazione; mi è stato recapitato solo oggi dallo zelante postino di paese e, a parte il singolo che da il nome al tutto (prima titletrack per il duo) e che già da un po' avevo avuto occasione di apprezzare, con quel suo irresistibile richiamo al dirigibile di piombo, già si lascia intravedere una struttura assai più rock rispetto al precedente (e coraggioso) Get Behind Me Satan, dominato in larga parte dal piano.
Qua la chitarra torna a fare il diavolo a quattro, e non si può proprio dire che non mi fosse mancata; White, oltre che ottimo compositore e cantante versatile, è anche un grandissimo chitarrista, privo delle seghe mentali dei virtuosi, focalizzato sull'essenza del brano, ed è questo che rende tanto magico il suo stile. I brani che solcano le onde di questo nuovo, piccolo oceano di sorprese e meraviglie si muovono tra il rock dei primi settanta, con i soliti Zeppelin in testa, ed il folk del decennio precedente, senza disdegnare più di un'occhiata al country e alla psichedelia.
Insomma, i soliti, per così dire, ingredienti per il duo di Detroit, che ha ancora la voglia e la capacità di sorprendere e deliziare l'ascoltatore; sono pochi, anzi, pochissimi, i dischi che comprerei a scatola chiusa. Con i White Stripes non mi è mai andata male, un perchè ci sarà, o no?
Tuesday 19 June 2007
Coldplay: i ricordi che ho dimenticato
Tuesday 12 June 2007
Sulla spiaggia con Neil
E' nel decennio successivo che Mr Soul ha abbandonato la retta via, ma in questo era, ahimè, in buona compagnia (vero, signor Zimmerman?...)...sul finire di quegli oscuri e bui anni ha ritrovato il cammin perduto, ma è agli albori che vanno ricercati i suoi veri capolavori, sia in solitaria che in combutta con Crosby, Stills & Nash.
A parer mio l'apice della sua produzione di quegli indimenticabili anni è rappresentato da questo On The Beach, forse non stracolmo di hits, ma tanto coeso, denso, inscindibile da sembrare un macigno che ti si schianta in pieno volto.
E' il dolore (tanto per cambiare) a rendere On The Beach il capolavoro che è; erano periodi neri, nerissimi, quelli, per il nostro, e la musica che ne scaturiva non poteva che essere impregnata fino all'anima di quello spirito desolato e desolante.
Rassegnazione, pensieri sfuggenti, malinconici lamenti, ecco gli ingredienti di quest'album, di cui non serve citare canzone alcuna, tanto l'impasto sonoro che lo forma sembra non volersi disgregare, neppure (anzi, sopratutto) dopo il milionesimo ascolto.
Ricorda la scìa lasciata da un aereo, nel cielo tinto di rosa, quando il sole comincia a spegnersi per fare posto alla luna, melodie e note che si estinguono e rinascono all'orizzonte, laddove il giorno finisce, per riniziare dopo poche ore di tenebre...magico...
Monday 11 June 2007
Canzoni patetiche con cui sciogliersi in un brodo di giuggiole
Nelle ultime settimane, causa un evento imprevisto e del tutto inusuale per me (almeno, pensavo fosse inusuale, ma mi sbagliavo) di cui preferirei evitare i dettagli, ho cominciato ad affondare nelle note delle canzoni più strappalacrime (o strappamutande, come direbbe qualcuno) che la mia giovane mente abbia mai conosciuto.
Ve ne sottopongo un elenco; forse un giorno me ne pentirò, ma, ora come ora, sono soggiogato dalle note dei brani a seguire. Buone risate.
Al primo posto, inattaccabile, metto A Whiter Shade Of Pale dei mitici Procol Harum; credo che più a fondo di così non si possa davvero andare!
A seguire direi Unchained Melody, dei Righteous Brothers; avete presente la scena di Ghost (arghhh!!) con Demi Moore che modella l'argilla? Ecco, oggi come oggi io mi sento quel pezzo d'argilla.
Al terzo posto piazzerrei Killing Me Softly di Roberta Flack, tanto per galleggiare impunemente su un mare di patetica malinconia....e già sto toccando il fondo.
Quarto posto a When A Man Loves A Woman di Percy Sledge; se siete diabetici, a questo punto, rischiate davvero un'overdose di zucchero.
Per chiudere questa dubbia (e raccapricciante) top five, scelgo Sweet Child O' Mine, dei Guns N' Roses; ecco, se mi vedete per strada potete anche prendermi a pugni, magari riuscite a destarmi da quest'abisso di mielose e melense canzoni. Io, per ora, ne sono schiavo, e credo di essere sull'orlo della follìa...
Wednesday 6 June 2007
Nine Inch Nails, ma dove siete finiti?
Beh, diciamo che alcune avvisaglie c'erano già state con l'ultimo album; alla lunga l'avevo trovato un disco noioso, a parte qualche buon episodio qua e là, sopratutto se paragonato al suo illustre predecessore, quel The Fragile che era stato un po' la summa del lavoro dei Nine Inch Nails.
Ma, mi dicevo, un passo falso (in questo caso un mezzo passo falso, ad esser onesti) può capitare a tutti, invece...suonerà cinico e stupido, ma credo, anzi, sono certo, che la scarsa ispirazione di Trent Reznor coincida con la sua recente disintossicazione da alcool e droghe varie. Insomma, Mr Self Destruct ha messo la testa a posto e, per quanto possa essere felice per lui come persona, non lo sono altrettanto per quanto riguarda lui come artista.
Dischi come The Downard Spiral, Broken e il già citato The Fragile nascevano dalle tenebre oscure della sua mente malsana; era una musica affogata nell'eccesso, nel nichilismo, nell'odio e nel dolore, e proprio per questo risultava così valida, così vera, così unica.
La realtà, per quanto possa far male, è che l'ispirazione, spesso, tende a svanire, e con essa la buona musica e le emozioni che era in grado di suscitare. E, putroppo, nemmeno Trent Reznor fa eccezione...
Tuesday 5 June 2007
Blackmail, un segreto fin troppo ben custodito
Il loro capolavoro, a parer mio, è questo Friend or Foe?, del 2003, in cui i quattro, guidati dai fratelli Ebelhäuser, raggiungono il proprio apice creativo, con un susseguirsi di brani intensi, altalenanti tra le malinconiche dolcezze di Airdrop e Fast Summer e le ruvide e possenti Evon (dove l'eco dei QOTSA riecheggia in tutta la sua fulgida e granitica potenza), Sunday Sister o la lunga e psichedelica cavalcata conclusiva Friend.
Lo scorso settembre me li sono goduti live a Winterthur in un concerto memorabile per intensità e solidità; sul palco i Blackmail confermano quanto di buono, anzi, di ottimo, confezionano su disco, laddove il ruvido suono della chitarra si fonde con l'abissale profondità degli attimi più quieti ed intimi...scopriteli, ne rimarrete piacevolmente estasiati.
Monday 4 June 2007
High Fidelity: la musica che si specchia nella vita
Poi c'è Jack Black, e Jack Black, per quanto in molti lo possano ritenere un idiota, è un idolo, sopratutto nei panni di Barry, intransigente e rissoso freak musicale da antologia. Anche in lui mi rivedo, almeno in parte.
Ma, sopratutto, High Fidelity è un'analisi perfetta della complessa ed incomprensibile (spesso, perlomeno) natura del rapporto uomo-donna, dei suoi malintesi, fraintendimenti, delle sue bugie o cose non dette, del dolore e della gioia che sa regalare, dell'odio e della rabbia che, a volte, ne scaturiscono. Come detto,mi ci identifico, forse mai come in questo frangente di vita...
Tuesday 22 May 2007
Starsailor, quando la malinconia brilla nella notte
Riscoprire i dischi è un evento unico ed irripetibile, ma riscoprire capolavori è dificilmente descrivibile.
Ritrovarsi con qualcosa che si era amato ma che, chissà per quale ragione, era stato messo da parte, nel cassetto dei ricordi perduti, ha un sapore speciale, quasi di rivincita.
Così mi sono sentito, la scorsa notte, quando, come di conseueto, per calarmi nell'oscurità, ho scelto un disco che mi accompagnasse; il mio lettore era secoli che non assaggiava Love is Here, degli Starsailor, e posso immaginarmi quanto gli fosse mancato, in questo infinito lasso di tempo.
Brani come l'iniziale Tie Up My Hands, la successiva Poor Misguided Fool o la seguente Alcoholic sono lacrime amare versate in un pozzo nero, in cui non risplende nè la luce del sole, nè il bagliore lontano della luna...diamanti dannati, figli di Tim Buckley quanto dei primigenei Radiohead, dolci lamenti che si perdono nel nulla della notte...
She Just Wept, che come ghiaccio scorre sulla pelle e la scuote nel fremito del freddo, pare essere una remota oasi di pace per i sensi, ma svanisce nel suo incantesimo agrodolce...Love Is Here, con la sua cadenza elegante, col dolore che si porta appresso, come un bagaglio di cui si vorrebbe liberare...
Musica che fa male, questa, ma che porta con sè un senso di sollievo e pace che riempie ogni ascolto, come un prato che fiorisce nel gelo, come l'oscurità che si tinge dei rosei sprazzi dell'alba... Da assaggiare in queste nottate estive, che sembrano non avere nè inizio, nè fine...
Monday 21 May 2007
Le Zucche stanno marcendo...o no?
Tuesday 15 May 2007
The Coral: il Merseybeat della nostra generazione
Col secondo lavoro Magic & Medicine i Coral mettevano a fuoco le loro potenzialità in una successione di brani incredibili, Pass It On su tutti. Folk sposato al country miscelato coi Doors imparentati con il beat di quarant'anni fa, insomma, per qualsiasi nostalgico ( e non) una vera manna dal cielo.
Nightfreak & The Sons of Becker, mini album uscito pochissimi mesi dopo il sopracitato Magic & Medicine, suscitava un vago senso di irritazione; sembrava il frutto di un lavoro mai portato realmente a termine, lasciato sospeso a mezz'aria. Un mezzo passo falso.
Il sentiero, i sei ragazzi guidati da James Skelly, cantante di rara versatilità, lo ritrovano subito; The Invisible Invasion, datato 2005, riprende il discorso del secondo album, smussandone magari gli angoli più acidi. Trainato dall'ottimo singolo In The Morning il disco accompagna l'estate di quell'anno, confermando i Coral come una delle migliori bands inglesi del momento.
A breve, ancora non si sa con esattezza, dovrebbe vedere la luce la nuova fatica dei sei; nell'attesa mi lascio trascinare lontano da perle quali Dreaming of You, Bill McCai e Arabian Sand...
Monday 14 May 2007
Dieci canzoni per una primavera
Dieci canzoni per questa primavera 2007, tanto simile all'estate da non sembrare nemmeno lontanamente la mezzastagione che fa sì sbocciare fiori, ma che a Pasqua, o giù di lì, ci riserva un'inaspettata nevicata.
Dieci brani che mi accompagnano da qualche tempo, dal mattino alla notte fonda...in ordine sparso, così come le emozioni che mi scatenano dentro.
Low: Silver Rider (vedi post precedente)
Cold War Kids: Hospital Beds (una sensazione indie con una specie di Jack White alla voce)
Murder By Death: Brother ( intenso, malinconico, desertico)
Arcade Fire: Keep the Car running ( i R.e.m., se oggi non avessero perso tutto lo smalto)
Grinderman: No Pussy Blues ( Nick Cave è tornato ad un blues marcio e decadente, carico di sesso)
Radiohead: How to disappear completely ( una splendida riscoperta, musica senza confini)
Mando Diao: Welcome Home, Luc Robitaille ( gli svedesi, il loro miglior album, uno dei loro migliori pezzi)
Langhorne Slim: Checking Out ( indie country folk imbastardito, dolcissimo e deviante)
Tindersticks: Rented Rooms ( ha più di dieci anni, ma potrebbe averne cento. Oscura, intima, erotica)
Tv On The Radio: Blues From Down Here ( perla dark wave, da scuotere l'anima)
Eccole, le mie compagne di viaggio, in queste giornate velate di caldo e di pioggie... a presto...
Monday 7 May 2007
Low: un soffio sull'anima
Quando un anno fa lo comprai, con imbarazzante ritardo, dato che l'album risale al 2004, non riuscii a scorgerne immediatamente la complessa profondità, le trame sonore che sembrano perdersi all'orizzonte, su distese infinite che i miei occhi faticano a ricordare...
Nell'ultimo mese The Great Destroyer ha preso progressivamente possesso del mio lettore, e le sue incantevoli composizioni hanno cominciato a radicarsi nella pelle del mio cuore, sulla superficie della mia anima...brani come Monkey, ossessiva nenia che pare essere un antico e funereo canto d'addio, Silver Rider, la cui tristezza pare svanire nella sua sfuggente bellezza, On the Edge of, eterea come la brezza e pesante come un macigno, dolce e amara nel contempo, When I go Deaf, sussurrata, acustica, che prima d'esplodere ricorda l'aria di campagna allo sbocciare della primavera, sono solo alcuni dei pezzi di questo meraviglioso puzzle musicale, canzoni che si rincorrono nella mia testa e mi battono nel petto, come i semi di un amore svanito nel nulla della notte...
Da consumare e da amare, incondizionatamente...
Friday 27 April 2007
Le Regine preistoriche stanno tornando
Thursday 26 April 2007
The Black Keys: il sapore del blues e del garage
Saturday 7 April 2007
Dal Krautrock al Krautpunk
Friday 6 April 2007
Okkervil River: una fiaba fatta musica
Ho avuto modo di scoprirli grazie alle letture del Mucchio, rivista a cui saro' sempre grato per tutti quegli straordinari incontri musicali che ogni mese mi permette di fare; il mio primo approcio al mondo di Will Sheff (il deus ex machina del tutto, dalle musiche alle incredibili copertine) e soci l'ho vissuto sulle note dell'ep Black Sheep Boy Appendix, uscito a fine 2005 come ideale compendio all'album Black Sheep Boy. Quelle sette tracce mi stregarono a tal punto che, di lì a poco, mi portai a casa anche il suo predecessore ed altri due album della band, Don't Fall in Love with Everyone you see e Down the River of Golden Dreams.
Che dire della musica? Lo definirei, ma facendolo limiterei di molto il potenziale espressivo del gruppo, come una sorta d'incontro tra il folk di stampo tipicamente americano, un country venato di alternativo, la sghembezza dell'indie rock e, non da ultimo, una sottilissima vena dark, accentuata, direi, nelle ultime prove.
Brani come No Key, No Plan e Another Radio Song, da Appendix, sono incredibili esempi di altrettanto incredibile ispirazione; per non parlare di Black o For Real, contenute in Black Sheep Boy, o della dolcissima e malinconica Seas Too Far To Reach, tratta da Down the River of Golden Dreams. Ma sono gli album nel loro insieme a rendere grandi, anzi, immense, queste piccole composizioni sonore che crescono, s'ingigantiscono, ascolto dopo ascolto.
Dal vivo gli Okkervil River sono un'esperienza unica, tanto l'alchimia tra gruppo, e Sheff in particolare, dotato di una voce e di un carisma veri, e pubblico é intensa.
Come dico sempre: provare per credere, controindicazioni non ve ne sono affatto.
Tuesday 3 April 2007
A-ha Shake Heartbreak: sono tornati i parenti di Leon
Thursday 1 February 2007
Iron and Wine: agrodolci melodie
Ritengo una specie di eresia il fatto che questa incredibile creatura musicale ancora appartenga ad un underground che le sta, in tutta franchezza, assai stretto.
Nati nel South Carolina, creatura di quel Sam Beam che fu e sarà la mente del gruppo, toccano, con l'EP Woman King, un apice con cui sarà difficile misurarsi negli anni a venire.
Meraviglie sonore quali Jezebel, istanti d'infinita dolcezza regalati al nulla, Gray Soldiers, blues rurale sposato al tribale ritmo delle prime tribù, Freedom Hangs Like Heaven, country imbastardito dalla psichedelia e dalla struggente malinconia folk, e Evening on the Ground, tela di note ricamata su un silenzio struggente e rumoroso, testimoniano di un gruppo in florida ispirazione e in assoluta ricerca della musica.
Un toccasana per anima e cuore...davvero!
Tuesday 23 January 2007
Booker T. and Stax Records
Si potrebbe dibattere per ore ed ore su questo spinoso quesito; personalmente, però, non avrei alcuna esitazione nel rispondere che Green Onions, di Booker T and The Mg's vince, anzi, stravince la palma come miglior strumentale dell'ultimo mezzo secolo (abbondante) di musica.
Correva l'anno 1962, per la precisione era il mese d'agosto, e la giovane etichetta Stax Records, principale antagonista dell'altrettanto mitica Motown, dedita a sonorità più pop (ma non per questo meno incisive e vibranti), metteva in circolazione il singolo di un giovane fenomeno delle tastiere, Booker T, accompagnato dalla sua incredibile band, gli Mg's, appunto. Questo nonostante alcuni dirigenti della casa discografica di Memphis non fossero affatto convinti delle potenzialità del brano; quanto si sbagliavano! Col suo attacco di organetto e l'incedere di una chitarra ruvida e blueseggiante e di una batteria secca e precisa nasceva un brano perfetto, trainante, un ritmo cui nemmeno un sordo avrebbe potuto resistere.
Ma nella sua incredibile scuderia di talenti (basti ricordare Otis Redding e Sam & Dave per fugare qualsivoglia dubbio) la Stax contava altri talentuosi gruppi strumentali; in primis gli incredibili Mar-Keys, autori di un altro classico istantaneo come fu Last Night (nonchè di un'altra dozzina di perle più o meno sconosciute), i Triumphs, la cui Burnt Biscuits fa gelare le ossa dai brividi, i Cobras, a dire il vero solo in parte dediti a strumentali, come pure gli eccellenti Four Shells di Hot Dog.
Il sound di Memphis non appartiene dunque unicamente ad Elvis e Booker T ed i suoi compagni d'etichetta ce lo dimostrano appieno. E, a proposito, per il sottoscritto nella virtuale top five degli strumentali di sempre non può certo mancare Moby Dick dei Led Zeppelin e almeno un pezzo surf, ma queste sono altre storie...
A seguire una versione live di Green Onions. Il volume è terribilmente basso, ma il fascino della canzone resta intatto.
http://www.youtube.com/watch?v=3Uv-18oG9AE
Indie paralleli
Tanto per rimanere in tema indie music...
Nell'attesa degli Shins ho disperatamente cercato di colmarne il vuoto discografico affidandomi ai più disparati gruppi dediti a sonorità più o meno simili.
I primi furono i Fruit Bats, il cui Spelled in Bones accompagnò musicalmente il mio autunno 2005; i richiami agli amati Shins si sprecano sul disco di questo duo, ma ciò non toglie nulla alla magia di brani come Born in the Seventies e Legs of Bees.
Nella primavera dello scorso anno mi imbattei poi nei Dios Malos , il cui omonimo debutto mi entusiasmò relativamente; lo definirei come una sorta di incontro tra Beck e gli irrinunciabili Shins, con alcune piacevoli sorprese come la dolce Say Anything o la struggente My Broken Bones (quest'ultima decisamente vicina agli Okkervil River meno acustici), ma nel complesso mi pare un disco eccessivamente prolisso e, in taluni punti, persino autocompiaciuto.
Gli ultimi vice-Shins, in ordine di tempo, hanno uno dei nomi più esilaranti degli ultimi anni: Someone Still Loves You Boris Yeltsin, il cui debutto Broom miscela alla perfezione i soliti noti con una certa malinconia fortemente debitrice del compianto Elliott Smith. Una mezzora di tranquillità e sospiri, intensa ma non stressante, come solo il buon indie sa essere.
Di seguito, uno dei pezzi migliori degli Someone Still Loves You Boris Yeltsin, l'agrodolce Oregon Girl.
http://www.youtube.com/watch?v=7QkNDGn1VL8
The Shins: Wincing the night away
Dopo un'estenuante attesa durata quattro anni, ecco che mi ritrovo tra le mani il nuovo lavoro degli indie-rockers The Shins.
Confesso d'aver amato il debutto Oh, Inverted World, trascinato da quel gioiellino che risponde al nome di New Slang (ricordate le sue note accompagnare l'ottimo film Garden State?), e d'aver praticamente adorato il seguente Chutes Too Narrow, forte di perle come So Says I, Kissing The Lipless e Pink Bullets. Da allora, come detto, sono trascorsi quattro anni; questo nuovo album non delude le aspettative, ma, a conti fatti, è di qualche gradino inferiore al suo diretto predecessore. Il brano d'apertura Sleeping Lessons e Phantom Limb, primo singolo, sono delicate composizioni degne dei migliori Shins, ma, alla lunga, il disco sembra perdere parte del suo mordente. Voglio tuttavia lasciare tempo al tempo, poichè ho la netta impressione che queste siano canzoni che crescono ascolto dopo ascolto, fino a radicarsi nelle oscure profondità cerebrali senza più abbandonarle. Intanto mi immergo in questo limbo di melodie e nell'astrusità galattica della stupenda (secondo me) copertina.
Il singolo, Phantom Limb.
http://www.youtube.com/watch?v=OkITsv3Nk6M