Monday 1 December 2008

Johnny Cash. L'uomo in nero.

Un tempo scrissi di avere pochi idoli musicali. Vero. Non amo idolatrare le persone, preferisco piuttosto cantare le lodi della loro musica. Ma alcuni idoli esistono anche per me, e uno di questi è senza dubbio Johnny Cash; non solo un musicista di grande talento, un compositore straordinario, un cantante dalla voce unica, indescrivibile, ma anche, e sopratutto, un esploratore, un giocoliere musicale, una personalità forte e coerente, un uomo che, con tutte le sue debolezze, fa sentire l'ascoltatore parte del piccolo universo che viene a crearsi non appena le note della sua musica si dispiegano nell'aria.
Amo entrambi i lati di Cash; quello spensierato, dal tocco ribelle, dei primi anni cinquanta, quando, in compagnìa del suo Tennesse Two, batteva i palchi di tutti gli Stati Uniti col suo tipico sound "boom chicka boom", spesso accompagnato in tour da un altrettanto imberbe Jerry Lee Lewis e da quella che sarebbe diventata la sua seconda moglie, e compagna di tutta una vita, June Carter. Questo è il Cash rappresentato nell'emozionante (ma non del tutto fedele) biopic Walk the Line, uscito alcuni anni fa in tutte le sale cinematografiche e divenuto un successo immediato; è il Johnny strafatto di anfetamine ed alcool, ondivago nel suo ricercare la fede dimenticata, fermo nel creare ed elaborare il suo personalissimo sound. Che, a differenza di quanto possa pensare la massa, non è riducibile al ben delineato stile country, ma ingloba tutta una serie di influenze ed impressioni, che variano, di volta in volta, dal rockabilly al blues, passando per il suo amatissimo gospel. E' il Cash che scrive brani indimenticabili quali Folsom Prison Blues, Cry Cry Cry e Get Rhythm, nonchè l'interprete dell'immortale Ring of Fire, scritta per lui da June; è, sopratutto, il Cash che s'imbarca in un'infinita tournée nei penitenziari statunitensi, per portare la sua musica, impregnata di omicidi e di amori perduti, ai detenuti, da sempre suoi grandissimi estimatori. Da queste esperienze nasceranno album storici quali Live at Folsom o Live at San Quentin, spesso considerati come i migliori di questo suo primo scorcio di carriera.
Dicevo, amo entrambi i lati di Cash; ma, mentre il primo mi riempie di emozioni esaltanti, di fragorosa vitalità, il secondo, quello della vecchiaia, delle oscure riflessioni interiori, non fa che pervadermi di una nostalgia senza nome, di una rassegnata amarezza. Dalla metà degli anni novanta, grazie all'incontro con Rick Rubin, un Cash rovinatissimo nel fisico (gli anni di abusi ne hanno segnato, profondamente e indelebilmente, la salute) ma vigoroso, come sempre, nello spirito, da il là ad una collaborazione che diverrà leggendaria; la serie denominata American Recordings, in cui il musicista si cimenta con materiale altrui oltre che con composizioni proprie, è la testimonianza di un artista che giunge, lentamente, al capolinea, ma che si porta appresso una dignità ed una profondità rarissime ed encomiabili. Le canzoni si fanno sempre più spesso acustiche, mettendo in risalto una voce che con l'età ha sì perso in estensione, ma ha raggiunto uno spessore e un'intensità da brivido, riuscendo a toccare emozioni e sentimenti in maniera tanto genuina da far venire le lacrime algi occhi. Hurt, One, Bird on a Wire, Thirteen, Rusty Cage, e la lista potrebbe essere infinita, tanto la qualità è alta, celebrano, a modo loro, il testamento musicale e spirituale di una della più grandi voci della storia della musica moderna.
Sì, Johnny Cash è uno dei miei pochi idoli musicali; è quello che non ha mollato, è quello che è crollato ma ha saputo risollevarsi mille e mille volte, è quello che ha fallito ma, alla fine, è uscito vincitore da qualsiasi lotta. E' Johnny Cash, l'uomo in nero.

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