Thursday 4 December 2008

Wattstax: la Woodstock nera

Era l'agosto del 1972 quando a Los Angeles sbarcarono i maggiori artisti della leggendaria (e, di lì a qualche anno, ahimè, fallita) scuderia Stax, casa discografica dedita alla musica nera in tutte le sue variegate declinazioni, nata negli anni cinquanta in quel di Memphis, Tennessee.

Erano gli anni in cui l'orgoglio nero andava, man mano, affermandosi come qualcosa di più che non un semplice fenomeno di massa; era, di fatto, la graduale ma ferma presa di coscienza del popolo afroamericano dei propri diritti e delle proprie libertà. L'estate dell'amore e l'intero movimento flower-power erano ormai sepolti, finanche dimenticati, nelle fitte nebbie del passato; l'età dell'innocenza era inevitabilmente giunta al temine, non foss'altro che per l'impressionante serie di delitti della famigerata Manson Family, che scosse profondamente la comunità hippie, la rassegnazione che la guerra nel lontano Vietnam non sarebbe giunta al termine tanto velocemente come s'era, invano, sperato nei magici sessanta e, non da ultimo, il triste fatto che molti adoratori dell'lsd erano rimasti sospesi nella rarefatta aria dei loro abusi se non, e non era certo questa un'eccezione, piombati nel sinistro inferno dell'eroina.

In questo clima di eccitazione mista alle delusioni per un passato che sarebbe potuto essere ma non fu, i proprietari della citata Stax, in collaborazione con il festival losangelino Watt, decisero di promuovere un'intera giornata, il 20 agosto, in favore della musica nera, tentando di ricreare la magica atmosfera di Woodstock in un contesto (ambientale, culturale, musicale e politico) del tutto diverso; seguendo le orme no-profit del leggendario festival hippie del 1969, i biglietti non avrebbero avuto un costo superiore a 1 dollaro, mentre altri 50000 biglietti sarebbero stati regalati alle classi nere più povere. Quella che si materializzò di fronte al palco nel primo pomeriggio di quella domenica fu una folla di 112000 persone, a stragrande maggioranza nera, in un clima di festosa e pacifica convivenza; di fatto, e a ripensarci oggi fa davvero sorridere, non un solo agente di polizia era presente allo stadio quel giorno, e non si verificò alcun incidente.

Lo show prevedeva un overture dedicata al Reverendo Jesse Jackson, cui seguivano sette ore pressochè ininterrotte di musica, perlopiù di altissimo, se non eccelso, livello. Dal soul corale, debitore del più antico gospel degli Staple Singers al ruvido e possente funk degli incredibili Bar Kays, forti del recente successo del singolo Son of Shaft, qui presente in una dilatatissima e ritmatissima versione che sfiora i dieci minuti e manda letteralmente in visibilio la folla. Dal blues urbano di Albert King, la cui Killing Floor, che fu di Howlin' Wolf prima e di Jimi Hendrix poi, ne mostra tutta la potenza alla sei corde, al vigoroso soul, fortemente debitore (e come non potrebbe?) di Otis Redding targato Eddie Floyd, qui presente con la celeberrima Knock on Wood, passando per la maestosa chiusura affidata all'immenso Isaac Hayes, che, con l'assassino incedere del wah wah di Theme from Shaft cattura il pubblico in un groviglio funkadelico da brividi freddi.

Un box di 3 cd è stato pubblicato nel 2007 e contiene una testimonianza preziosa e imprescindibile che cattura un istante musicale irripetibile, oltre a rappresentare una perfetta istantanea di un'epoca di cambiamenti e di profonde rivoluzioni nel tessuto sociale della numerosa comunità afroamericana. Un documento musicale di rara bellezza.

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